«A Ikati, un villaggio nel cuore della Nigeria, il destino delle donne è segnato: passano l’infanzia a occuparsi della casa e dei fratelli più piccoli, vanno a scuola solo per imparare a leggere e scrivere e poi vengono date in moglie al miglior offerente. Ma la quattordicenne Adunni è diversa: ama studiare, scoprire parole nuove per dar voce ai propri pensieri, per capire il mondo, per immaginare un altro futuro. E sogna di diventare maestra, di spiegare alle bambine come, grazie all’istruzione, possano liberarsi della miseria, guardare lontano, cercare la loro strada. Un sogno che però sembra infrangersi la mattina in cui il padre le annuncia di averla promessa a Morufu, un uomo molto più vecchio di lei e con già altre due mogli. Adunni sa che la sua famiglia ha un disperato bisogno dei soldi di Morufu, eppure non si arrende, nemmeno dopo aver compiuto il suo dovere di figlia, nemmeno dopo che una tragedia la obbligherà a scappare a Lagos, dove diventerà la serva di una donna prepotente e crudele. Anche nell’ora più buia, Adunni saprà trovare parole di coraggio e di speranza, parole che le daranno la forza di trasformare il suo sogno in realtà».
È questa la storia del libro scritto dalla nigeriana Abi Daré, edito da Nord (traduzione Elisa Banfi) e vincitore del Bath Novel Award 2018 . Una storia non lontana dalla realtà, che ha radici in una profonda discriminazione nei confronti delle donne.
Il libro negli Stati Uniti è diventato un bestseller, e in Italia ha già scalato le classifiche dei libri stranieri più venduti.
Abi Daré lascia una testimonianza sotto forma di romanzo, ed è proprio perché è nata e cresciuta in Nigera che la sua voce sembra ancora più forte. Ha vissuto nella capitala Lagos prima di trasferirsi in Gran Bretagna, dove ha studiato Legge e Scrittura creativa, e dove vite tuttora.
«Da adolescente, in Nigeria, mi sono accorta che molte ragazzine come me non andavano a scuola, bensì a lavorare nelle case, come domestiche, e ho capito che io ero privilegiata, perché non dovevo andare a pulire, cucinare, lavare… E così mi sono chiesta: perché? E perché a lavorare erano quasi soltanto le femmine?».
È questa la domanda che ha continuato a porsi la scrittrice. Ed è proprio da qui che non ha smesso di fermarsi e ha continuato a fare ricerche e a raccogliere informazioni sulla condizione delle ragazzine nigeriane.
«C’era una ragazzina che conoscevo e credo che sia stata lei a influenzarmi nel creare il personaggio di Adunni. Aveva undici anni, lavorava per una famiglia vicino a casa nostra e aveva questi occhi luminosi, i denti splendenti e cantava sempre, era sempre contenta, anche se faceva la domestica. Quando la sua Madam, la sua signora, la sgridava o le urlava, lei non smetteva di cantare e di sorridere. Come lei, Adunni è una ragazzina che non ha paura di parlare, con la sua voce bellissima, i suoi sogni e le sue speranze».
Credit: Il Giornale
Chiara Volponi