Il professor Abdulrazak Gurnah ha ricevuto il Nobel per la Letteratura 2021.

Sottolineare che sia il quinto letterato africano a riceverlo e il primo di colore è un dato meramente numerico e poco polite, non soltanto per dal punto di vista politically correct. A parte le battaglie contro la discriminazione, infatti, fior di intellettuali post-coloniali, al pari del professor Gurnah, a partire soprattutto dagli anni ’60 del Novecento hanno arricchito la tradizione letteraria anglosassone, arrivati da esuli e/o profughi o da essi discendenti. Perfettamente integrati nella cultura dei Paesi di arrivo, fermi restando le difficoltà e gli ostacoli dell’integrazione altra, quella che evidenzia differenze puramente etniche, purtroppo non ancora del tutto superati.

Paradise, By the Sea, Desertion, sono alcuni dei romanzi di Abdulrazak Gurnah dove la diaspora, come sempre avviene per chi è cittadino del mondo nel vero senso della parola, costretto da ragioni economiche e/o politiche a spostarsi diventa vieppiù una metafora. Da una parte l’impoverimento per la perdita delle radici, dall’altra l’arricchimento di risultare sì depauperati dei luoghi e delle abitudini e consuetudini di origine ma al contempo, diventare individui impreziositi dal passato e dal presente. La contaminazione che costa fatica, sacrifici e rinunce ma crea esseri, nella migliore delle ipotesi, detentori di una visione del mondo non relegata a un luogo fisico e mentale. Una visione amplificata dalla fusione tra la propria cultura e quella di arrivo. Un esempio di traduzione, nell’accezione latina del termini: il passaggio da una lingua e una cultura ad un altra e il trasferirsi da un posto a un altro volgendo anche l’animo altrove.
Roberta Maciocci